Trilussa al Don Chisciotte

(...) Trilussa, dopo i primi suoi tentativi poetici, dopo aver portato con mano tremante e il cuore in sussulto il suo primo sonetto a Gizzi Zanazzo (che pur essendo genovese dirigeva il Rugantino scritto in dialetto romanesco), ebbe il suo primo grande successo nella redazione del Don Chisciotte, diretto da Luigi Lodi.
   Trilussa usò col direttore del battagliero foglio romano il metodo usato dal podestà di Sinigallia, il quale scriveva le lettere e le portava lui stesso alla casa di chi doveva riceverle. Scrisse un sonetto e lo portò a Luigi Lodi.
   – Ah, lei dunque – gli disse il Saraceno, con quella sua aria burbera che lo fa somigliare ad un tiranno e non riesce invece mai a nascondere la innata inguaribile bontà dell'anima, pari alla elevatezza dell'ingegno a alla prodigiosa fecondità delle opere – lei dungue, scrive poesie?...
   – Ecco... io...
   – Questo è un sonetto! Non lo può negare.
   – Non nego: ma...
   – Vuol pubblicarlo?
   – Sì
   – Sul Don Chisciotte?
   – Sarebbe il mio...
   – Insomma sì o no?
   – Sì.
   – Me lo lasci. E torni.
   – Quando?
   – Fra due mesi!
   Due mesi per leggere un sonetto? – pensò Trilussa – Ma io, intanto, ne scrivo altri cinquantanove! Non ebbe però il coraggio di chiedere un giudizio più sollecito, e salutò e abbandonò la sala poco ospitale e il burbero direttore, pensando che i suoi quattordici versi sarebbero andati a finire quasi subito ne cestino.
   La mattina dopo, invece, Trilussa apre a caso il Don Chisciotte e vi scorge, in prima pagina, al posto d'onore, il sonetto che egli credeva perduto. Le lettere fiammeggiavano.
   La firma del poeta aveva i barbagli delle pietre preziose. Trilussa, da quel momento, decise della propria vita.
   Non diventò poeta, perché... lo era già: ma decise di non far che versi, per tutta la vita.
   E – per la fortuna nostra – egli ha mantenuta la parola.

 

[dall'appendice di Edmondo Corradi a "...Le finzioni della vita" di Trilussa, Licinio Cappelli Editore, Rocca San Casciano, giugno 1918]